Abitare la cura

Abitare la cura (logo del convegno)

Casa è il luogo dove vivi, non importa se sia una villetta, un appartamento, anche uno scantinato può essere meraviglioso.

È il posto dove ci sentiamo a nostro agio, al sicuro, felici, amati e protetti (purtroppo in alcuni casi sappiamo che non è così), insomma dove ci sentiamo a casa. “Casa” può significare molte cose: è il posto dove vivi o i luoghi che ami (per esempio una libreria, un parco, il mare,…).

La casa è, per eccellenza, il luogo dell’ACCOGLIENZA.

È facile trovare un posto dove abitare, ma è difficile trovare una vera casa. Ci vogliono le mani per costruire un’abitazione, ma solo il cuore può costruire una casa.

La mia casa è piccola ma le sue finestre si aprono su un mondo infinito.
Confucio

Per molti di noi (persone con un disagio psichico) la casa è un SOGNO: avere una casa propria dove poter vivere invece che condividere l’appartamento con altre persone; invece che abitare all’interno di un RSA.

La casa è anche il luogo della FAMIGLIA, dove ci sono tutti i nostri affetti, i nostri ricordi.

La casa è anche il luogo in cui ci sentiamo LIBERI, dove possiamo aprire le finestre sul mondo esterno (cosa che invece non è possibile quando siamo RINCHIUSI nei luoghi di ricovero e di cura).

La casa è quel posto dove, quando ci andate, vi accolgono sempre.
Robert Lee Frost

Purtroppo per molti di noi, avendo famiglie disfunzionali, questa frase non è assolutamente vera.

Chiunque ad un certo punto della vita mette su casa. La parte difficile è costruire una casa del cuore. Un posto non soltanto per dormire ma anche per sognare. Un posto dove crescere una famiglia con amore; un posto non per trovare riparo dal freddo ma un angolino tutto nostro da cui ammirare il cambiamento delle stagioni; un posto non semplicemente dove far passare il tempo, ma dove provare gioia per il resto della vita.
Sergio Bambarén

Se esiste una casa, è il luogo dove l’uomo possa vivere senza vergogna e senza censure, un luogo dove la sofferenza resta sofferenza, dove il difetto resta difetto, la paura resta paura, ma tutte queste cose sono ospitate, non sono più negate. Un luogo pacifico dove si è accolti.
Silvano Petrosino, filosofo, esperto dell’abitare

Il Presidente del Consiglio Mario Draghi quando ha illustrato al Senato il suo programma di Governo, ha indicato, per la sanità, oltre all’accelerazione del piano di vaccinazioni, come prioritaria la riforma della sanità territoriale.

Punto centrale, per Draghi, è rafforzare e ridisegnare la sanità territoriale, realizzando una forte rete di servizi di base (case della comunità, ospedali di comunità, consultori, centri di salute mentale, centri di prossimità contro la povertà sanitaria).

La “casa come principale luogo di cura” è oggi possibile con la telemedicina, con l’assistenza domiciliare integrata, ha chiarito il presidente del Consiglio.

Ma laddove questo non fosse possibile, come si potrebbero umanizzare gli spazi della cura???

….casa di cura, casa di riposo, casa di salute
Come se la parola originaria che esprime l’essenza dell’abitare potesse riscattare, almeno in parte, l’inevitabile limitazione del sé che comporta la vita in ospedale. Il nome “casa” che si sposta verso i luoghi della cura traduce un bisogno reale e nel verso contrario restituisce un’illusione: sarai come a casa tua, questa è una specie di casa…
Ida Farè ( già docente di Architettura al Politecnico di Milano)

Basta poco per trasformare lo spazio del dolore in spazio di possibile benessere emotivo: un vaso di fiori, una lampada, una foto, una tenda o un copriletto colorato, piccoli accorgimenti che aiutano a migliorare l’atmosfera e far ritrovare anche in ospedale un po’ del calore domestico.

Il 1 marzo 2013, a Firenze, nell’Auditorium di Sant’Apollonia si è tenuto il convegno "Abitare la cura" (dal titolo del libro “Abitare la cura. Riflessioni sull'architettura istituzionale” a cura di S. Marsicano, edito da Franco Angeli). Obiettivo del convegno, presentare il progetto "BeHome", nato da queste stesse considerazioni, per armonizzare e umanizzare gli spazi delle strutture ospedaliere. Molto interessante fin dalla descrizione: “Lo spazio che cura nelle strutture ospedaliere: interventi per trasformare lo spazio del dolore in spazio di possibile benessere emotivo.”

Un convegno ampiamente multidisciplinare, che ha riunito medici, oncologi, antropologi, filosofi, architetti, fotografi, linguisti, tutti impegnati a dimostrare quanto uno spazio più caldo e confortevole possa addirittura diventare terapia. Tra i relatori:

  • Lilli Bacci (socio educatrice, antropologa sociale, art director e stylist) ha redatto, dopo l’esperienza personale del ricovero di un familiare in diverse strutture ospedaliere, il progetto "BeHome" (un modo diverso di dire “sentirsi a casa”). Gestisce un blog tematico http://sentirsiacasa.com e la pagina Facebook sullo stesso argomento.
  • Ugo Pastorino. Quando l’arte incontra la medicina, uno spazio aperto che intende raccontare storie ed esperienze che descrivono il rapporto fra le arti visive, la malattia e l’ospedale, l’umanizzazione dei luoghi di cura attraverso l’arte e l’architettura.
  • Silvia Pecorini. È autrice di un Progetto di umanizzazione e di miglioramento della qualità della degenza denominato Un Ospedale Poetico (ospedale fiorentino Santa Maria Annunziata di Ponte a Niccheri), dove la poesia entra in rapporto con lo spazio di cura in maniera innovativa e del tutto originale. Le poesie, grazie alla creatività degli studenti dell’Istituto d’Arte, sono diventate quadri, affreschi, graffiti, elaborazioni al computer, collocati nelle zone più frequentate dell’ospedale.
  • Elaine Poggi: Fotografa di origine americana che vive a Firenze, ha trasformato la sua esperienza personale della perdita di sua madre in una campagna mondiale per portare le fotografie della natura negli ospedali in tutto il mondo. Presidente dell’organizzazione nonprofit The Foundation for Photo/Art in Hospitals dedicata a migliorare e umanizzare l’ambiente ospedaliero attraverso fotografie che diano conforto e speranza ai pazienti e alle loro famiglie, visitatori e assistenti. Lo scopo è cambiare il modo di intendere e vedere l’ospedale: da freddo e sterile a caldo e accogliente.
  • Romano Del Nord: Architetto toscano, uno dei massimi esperti, a livello nazionale e internazionale, di progettazione per l’umanizzazione delle strutture ospedaliere (“architettura terapeutica”.
  • Luisa Fioretto: affronta l’umanizzazione delle cure in oncologia attraverso progetti di Medicina narrativa, che valorizza la storia del paziente come fondamentale strumento per la conoscenza della malattia e per la costruzione di un efficace progetto di cura.
  • Daniela De Biase: si occupa di studiare, scegliere, applicare il colore per umanizzare gli ambienti sanitari

Fin dal 1860 c’era un’attenzione in questo senso: Florence Nightingale, fondatrice della moderna assistenza infermieristica nel suo “Note sulla Cura” dedica un intero capitolo al letto d’ospedale che deve essere basso, di ferro, scostato dal muro da entrambi i lati e non lontano dalla finestra in modo che il malato possa vedere fuori. Un altro capitolo parla della luce, di quale sia l’esposizione migliore e che si lasci entrare il sole. “Il convalescente passerà qualche ora in poltrona, non lontano dalla finestra. La vista dell’orizzonte, dei giardini e degli alberi rinfrancherà la sua mente e scaccerà le preoccupazioni che lo rattristano”.

Tutti siamo stati in ospedale, ricoverati noi stessi, o comunque a trovare persone care e sappiamo quanto strutture e arredi possano essere freddi e impersonali e accrescere così il disagio, lo stress e la paura dei pazienti.

“Le persone ricoverate in un ospedale, dice ancora Lilli Bacci, vivono l’esperienza di ore, che sembrano infinite, di solitudine”. La struttura ospedaliera è in genere fredda, non curata, deprimente. Si tratta perciò di cambiare l’atmosfera per dare conforto e speranza ai pazienti, ai loro famigliari, ai visitatori e anche agli operatori sanitari dell’ospedale.

Ecco perché Margherita Hack rifiutò il ricovero: “Vivrò meno ma più felice. Mi sono resa conto che mi sarebbero mancati la mia attività, mio marito, i miei animali e tutte quelle comodità, privacy compresa, che in ospedale non ci sono. Una vita a metà. Qui a casa, magari al rallentatore, faccio le cose normali”

Allestire lo spazio trasferendovi il calore delle emozioni; ritrovare angoli con qualcosa di significativo a livello personale consentendo così a chi è costretto a letto di posare lo sguardo su un punto di bellezza nel vuoto angoscioso del luogo ospedaliero (Elaine Poggi).

Credo fermamente, dice Lilli Bacci, che poche esperienze di vita siano significative per l’esistenza quanto l’abitare; credo che casa significhi tracce, cura, spazio “desiderato”, una vera risorsa che permette di ancorarsi a situazioni piacevoli, ricordi ma anche nuovi stimoli e quindi nuove opportunità; credo che casa sia il mantenimento della propria identità, che lo spazio vissuto non sia una scatola vuota e che abitare non significhi semplicemente “stare in un luogo”, ma anche costruire delle relazioni significative, dei rapporti con persone ed oggetti (in genere gli oggetti che l’abitazione contiene e custodisce sono le cose che si amano e che si sono scelte) che però, evidentemente sembrano incompatibili con la coatta esperienza ospedaliera.

Attraverso la mia osservazione ho verificato come qualsiasi spazio venga “contaminato”, influenzato, “tracciato” da colui che lo vive anche solo per un tempo limitato, come un bisogno che viene dal profondo, di segnare il proprio territorio, sia esso il tavolo dell’ufficio o il letto dell’ospedale.

Abitare significa lasciare tracce
W. Benjamin

Abitare non è conoscere, è sentirsi a casa, ospitati da uno spazio che non ci ignora, tra le cose che dicono il nostro vissuto, tra volti che non c’è bisogno di riconoscere perché nel loro sguardo ci sono le tracce dell’ultimo congedo. Abitare è sapere dove deporre l’abito, dove sedere alla mensa, dove incontrare l’altro…
Umberto Galimberti

Mi piace pensare che il luogo della Cura diventi Casa che accoglie tutti.
Lilli Bacci

About Author

Dopo un percorso di recovery iniziato nel 2015 ho cercato di utilizzare la mia esperienza di vita, per aiutare altre persone che con me condividevano una storia di disagio psichico. In questi quasi 25 anni di frequenza dei luoghi della Salute Mentale di strada ne ho fatta e ho, perciò, deciso di frequentare dei corsi che mi permettessero di specializzarmi su questi temi. Sono diventata facilitatore di un gruppo di Auto-Mutuo-Aiuto per utenti sul disagio psichico e un Esperto in Supporto tra Pari (ESP).

Nella mia vita precedente ero una farmacista specializzata in fitoterapia e Piante officinali. Ho avuto un erboristeria a Modena per 12 anni. Quindi, per passione mi diletto a scrivere articoli sulle piante, a fare corsi sui Fiori di Bach...Vorrei utilizzare questo mio bagaglio per tenere una rubrica intitolata: "L'angolo dell'erborista" sul bog delle Ciliegie Atipiche.

Perchè Lumaca Ross come nick-name?

La lentezza ha caratterizzato tutta la mia vita. Già dalle elementari tutti mi prendevano in giro per questa mia "qualità". Quando andando a Baggiovara per una visita dalla mia neurologa "preferita" ho visto che l'AISM (Associazione-Italiana-Sclerosi-Multipla) aveva fatto dei peluche per finanziare la ricerca ho subito notato una lumachina bellissima con le antenne. È stato amore a prima vista. E da qui la lumaca Ross.

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